Cosa è realmente la terapia con gli Oli Essenziali, altrimenti conosciuta come Aromaterapia?
In quarant’anni di attività ho persino smarrito il conto sul numero di scempiaggini che sono state compiute in nome della fitoterapia, parlo di fantomatici rimedi quasi sempre privi di una valenza terapeutica ma inequivocabilmente vantaggiosi sul piano commerciale. Molte aziende, pur di promuovere l’inconsistenza dei loro prodotti, sono riuscite persino a stravolgere il senso delle cose, come nel caso dell’aromaterapia che, nata grazie agli studi condotti da ricercatori francesi e italiani, tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del secolo scorso, hanno dimostrato la potenza degli oli essenziali come terapia antibiotica alternativa; ebbene, adesso nell’immaginario collettivo, grazie a questa operazione di marketing, l’aromaterapia altro non è che la terapia degli aromi, come se il profumo di un olio essenziale condizionasse l’umore di ciascuno di noi. Da potente disciplina antibiotica è stata declassata a fantomatica pseudo-disciplina dell’olfatto, la cui velleità sarebbe quella di correggere certi disturbi dell’umore esattamente come i fiori di Bach, altra bufala che non a caso ha fatto proseliti proprio in questi decenni, così precari sotto l’aspetto delle certezze, in cui esiste persino chi dubita sulla natura sferica del nostro pianeta.
La terapia con gli aromi è una cosa seria, avvalorata da ricerche condotte in ogni parte del mondo. L’azione battericida di alcuni oli essenziali è stata dimostrata sia in vitro che in vivo e, per chi non ne fosse a conoscenza, la tecnica dell’antibiogramma, definita aromatogramma se eseguita con oli essenziali, dimostra ampiamente l’efficacia di queste sostanze aromatiche nell’impedire la proliferazione batterica sia di gram+ che di gram-, attraverso gli aloni d’inibizione che si sviluppano nelle capsule di Petri.
Facendo un bilancio della mia vita, dedicata alla fitoterapia e all’uso degli oli essenziali, posso dire di essere soddisfatto della mia coerenza, non avendo mai ceduto al canto delle sirene, quel canto che porta un sicuro vantaggio economico nell’immediato, ma al prezzo della perdita di credibilità della propria attività. Un buon erborista non si lascerà mai condizionare dalle mode; non esistono panacee universali, ma solo rimedi mirati. Tra le piante officinali non esistono molti modulanti dell’umore efficaci quanto l’iperico (Hypericum perforatum) e, in alternativa ad esso non ha alcun senso utilizzare gli oli essenziali. E’ ora di prendere coscienza delle vere potenzialità di ogni branca della fitoterapia, anziché contribuire ad aumentare il fatturato di aziende che spacciano l’aromaterapia come disciplina finalizzata al riequilibrio dell’umore o acquistare piramidi energetiche o fiori per acquisire fiducia in se stessi; per non parlare dell’uso irrazionale che è stato fatto dell’Aloe. Da qualche decina di anni, questa pianta officinale viene considerata un rimedio versatile ed efficace in un numero impressionante di patologie, cosa assolutamente falsa e da sfatare sul nascere. Utilizzato dalla caduta dei capelli alle malattie oncologiche. Purtroppo, non sono solo le case farmaceutiche, come molti credono, ad orientare il business dove fa più comodo, ma anche le aziende erboristiche si fanno pochi scrupoli in questo senso. Se fino ad oggi ha fatto comodo incrementare la vendita dei prodotti a base di aloe, negli ultimi tempi, a quanto pare, si tende a orientare gli acquisti verso tutto ciò che contenga curcuma o zenzero e domani ci saranno altre “piante miracolose” a dominare il mercato, il tutto a scapito della credibilità di questa disciplina nonché di chi opera seriamente in questo settore.
Ma, poiché non voglio dar luogo ad equivoci, ci tengo a sottolineare che l’erborista deve anche avere la consapevolezza dei propri limiti, evitando di porsi con i propri clienti come fossero pazienti. Questo è un errore da non commettere, anche perché lo scopo di un operatore del naturale non è quello di guarire qualcuno attraverso l’uso di oli essenziali o di estratti acquosi o idroalcolici, ma casomai di offrire un contributo al buon mantenimento della salute altrui e, se richiesto, anche di coadiuvare una terapia medica, ferma restando l’imprescindibile conoscenza relativa alle interazioni tra fitoterapici e farmaci. Oggi si parla molto di vigilanza sulle reazioni avverse e, se devo essere sincero, spesso anche a sproposito. Sono perfettamente cosciente che l’assunzione del Ginkgo biloba da parte di chi è sotto terapia di anticoagulanti rappresenti un rischio per la salute, ma anche che, l’ostracismo verso i flavonoidi è a dir poco eccessivo, perché se un’arancia non ha mai fatto male a una donna incinta, non vedo perché debba essere considerato un rischio assumere una compressa di propoli, che peraltro ne contiene una minore quantità.
Prima di concludere sento anche il dovere di precisare che una delle ragioni per cui gli oli essenziali vengono proposti, dalle aziende che li commercializzano, come rimedi meramente olfattivi, risiede anche nella loro esigenza di volersi cautelare da eventuali effetti collaterali che potrebbero manifestarsi nell’assunzione di queste sostanze aromatiche altamente attive. Difatti, il loro utilizzo necessita di una conoscenza profonda sia della loro farmacodinamica che della farmacocinetica, cosa purtroppo assente tanto tra gli erboristi che tra i farmacisti. Circa le controindicazioni di ciascun olio essenziale, la distinzione tra quelli contemplati nella classe dei fenoli e quelli appartenenti alla classe dei terpeni dovrebbe rappresentare il primo passo verso la conoscenza di questa disciplina nota come aromaterapia.
Adriano Sonnini
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